L’approvazione di una buona legge sulle unioni di fatto si può fare, questa volta è un obiettivo a portata di “mano”. Io ci credo. Bisogna però evitare la radicalizzazione delle posizioni, gli integralismi ideologici o confessionali, il particolarismo normativo (la pretesa, cioè, di normare tutti gli aspetti, anche i più minuti, della vita affettiva e “familiare” delle persone). È un’occasione che non possiamo perdere. Forse, ciascuna delle parti in causa dovrebbe rinunciare a qualcosa pur di salvare il corpo centrale della legge. E, forse, si potrebbero evitare prove muscolari e voti segreti inventati apposta per colpire e affondare il testo nel suo complesso. Non sarebbe la prima volta.
Anch’io, nel corso della mia esperienza di parlamentare, presentai una Proposta di Legge per il riconoscimento giuridico di diritti e responsabilità alle persone, anche dello stesso sesso, che fanno parte di unioni di fatto. Lo feci con altri colleghi del gruppo, credenti e non credenti (Fassino, Turco, Argentin, Boccuzzi, Sposetti e altri) tutti animati dal comune obiettivo di adeguare l’ordinamento italiano, in materia di convivenza e diritti della persona, per allinearlo alla stragrande maggioranza dei Paesi europei . Lo stesso Governo-Prodi presentò un Disegno di legge, a firma delle Ministre Bindi e Pollastrini, al termine di un serio e approfondito percorso di ascolto e di dialogo con la società civile. Erano i mesi tra il 2006 e il 2007. Com’è noto non se ne fece nulla. La radicalizzazione delle posizioni, le contrapposizioni ideologiche, la scarsa lungimiranza della Chiesa e dei Vescovi italiani, una maggioranza parlamentare frammentata e incerta, il termine anticipato della Legislatura, fecero fallire un tentativo importante di produrre una normativa seria e responsabile. Anche allora ci furono il Family day e un pesante pronunciamento di forte opposizione del Presidente della Cei, a quel tempo il Card. Ruini.
Sono passati quasi dieci anni ed è come se l’orologio della storia fosse ancora fermo a quella data: il Parlamento che cerca di approvare una legge equilibrata e ragionevole, la Chiesa italiana che scende in campo, intestandosi ancora una volta la portata politica e ideologica di una mobilitazione di piazza, più attenta alla ostentazione della forza che alla pratica della “comprensione”, la radicalizzazione del confronto pubblico, il rischio di non farcela anche in questa circostanza. Proprio quando, invece, servirebbe un dialogo senza scomuniche, rispettoso delle posizioni di tutti e orientato a promuovere normative chiare e in linea con i cambiamenti intervenuti in questi anni, nella vita e nella composizione delle unioni famigliari. Un compromesso alto e dignitoso.
Nessuno intende equiparare le unioni di fatto alla famiglia fondata sul matrimonio. È in corso, invece, un consapevole tentativo di introdurre nell’ordinamento norme volte a evitare discriminazioni e a garantire che nelle convivenze, anche tra persone dello stesso sesso, siano assicurati diritti e responsabilità, anche a beneficio dei minori eventualmente presenti. La Costituzione non nega l’esistenza di altre forme di convivenza nate fuori dal matrimonio e le sentenze della Corte costituzionale inducono il Parlamento a legiferare in tal senso, proprio per riconoscere diritti e doveri nelle diverse formazioni sociali in cui può articolarsi la vita personale affettiva e di coppia.
Segnalo inoltre a quanti può interessare la vicenda del Pd, che l’Assemblea nazionale del partito ha approvato il 14 luglio 2012 un documento in cui è scritto che “tale riconoscimento dovrà avvenire secondo tecniche e modalità rispettose, da un lato, della posizione costituzionalmente rilevante della famiglia fondata sul matrimonio ai sensi dell’Art. 29 Cost., e della giurisprudenza costituzionale che anche recentemente ne ha dato applicazione, dall’altro, dei diritti di ogni persona a realizzarsi all’interno di formazioni sociali (alle quali possono essere assimilate le unioni tra omosessuali) intese come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge- il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri” (Sentenza Corte Cost.le 138/2010).
In questo tempo di trasformazioni così profonde e innovative nella vita delle persone e delle comunità, occorre ricordare che non dobbiamo rispondere solo alla nostra coscienza, ma anche a coloro che ci interpellano affinché si ponga fine a condizioni di discriminazione e di esclusione non più accettabili. Si può fare.