Considero la riforma Cirinnà approvata giovedì dal Senato una buona legge, un passo in avanti importante per introdurre anche nell’ordinamento italiano diritti e responsabilità, riconoscimenti e cittadinanza, garanzie sociali e libertà civili finora negate o impedite. Un nuovo “diritto delle famiglie” è stato detto, con il quale “escono dall’inferno della clandestinità ed entrano nella legalità e nella normalità le coppie omosessuali italiane” (Francesco Merlo). Una normativa attesa da anni, bloccata in Parlamento da tempo immemorabile, a causa di veti politici, ostracismi religiosi, pavidità culturali, volgarità e pregiudizi di ogni genere.
Si poteva fare meglio e di più? Forse, ma il M5s ha minato il campo rendendolo impraticabile e mettendo a rischio l’approvazione dell’intero testo. Il “voto di fiducia” su un provvedimento riguardante i diritti civili non è un bel vedere, certo, ma c’era un modo altrettanto sicuro e privo di insidie per approvare il corpo centrale della legge? Io non credo. Altri possono pensarla diversamente, certo. Però non si poteva più scommettere sull’azzardo dei voti segreti, sulle trappole della libertà di coscienza, sul presunto affidamento dei senatori di Grillo e Casaleggio. E se poi le cose fossero andate male come ne saremmo usciti? Io penso invece, che i senatori democratici abbiano fatto bene a chiudere la partita con la fiducia, per mettere in sicurezza la legge e la sua portata storica. Anzi, io credo sia stato opportuno allargare il perimetro del consenso su un argomento così delicato e importante per la società italiana e, in tal modo, aver assicurato l’esito positivo della sfida lanciata a suo tempo dall’intero Pd.
La legge ha subito una menomazione, è vero. Ma la parte più significativa del testo è stata approvata. Voglio ricordare qui che il Family day è stato mobilitato e scagliato contro le unioni civili e non solo contro le adozioni. Il vero obiettivo dei promotori di quella mobilitazione era quello di bloccare il Parlamento ancora una volta. Non dimentichiamo che il rischio di non farcela è stato reale e concreto. L’obiettivo di Grillo, Di Maio, Salvini e parte di Ncd era di mandare tutto per aria, di far saltare il banco, di far fallire anche questo tentativo e dare la responsabilità al Pd e al suo Governo. Invece se questo risultato (ancora parziale, visto che la Legge dovrà essere approvata ancora alla Camera) è stato possibile è merito proprio del Pd, a partire dalla Senatrice Cirinnà, della sua tenacia, il suo coraggio, la sua determinazione.
Ma allora, che senso ha adesso aprire nel Pd l’ennesima resa dei conti tra maggioranza e minoranza, alimentare una controversia incomprensibile e autolesionista sul presunto cambiamento di natura del Partito democratico e sul voto favorevole di Verdini? A chi giova alla vigilia di una tornata elettorale amministrativa, in cui sono in gioco i destini di amministrazioni importanti come quelle di Roma, Milano, Torino, Napoli, Bologna e molte altre, accreditare presso il nostro elettorato l’idea di un partito dilaniato da conflitti insanabili, avvezzo ai compromessi più deteriori, sottoposto ai ricatti inconfessabili del trasformismo parlamentare?
La discussione e il confronto nel Pd, come in ogni partito, sono una risorsa importante di pluralismo e di democrazia. Il conflitto pregiudiziale e la sua personalizzazione esasperata pregiudicano credibilità e affidabilità di tutto il partito, della sua proposta politica e di governo, della sua classe dirigente. Congresso anticipato? Per decidere che cosa? Per litigare sulle spoglie di un Paese che ha bisogno di responsabilità e di cura? Sarebbe meglio dedicare le migliori energie del principale partito di governo per un investimento generoso sulle scadenze politiche e parlamentari capaci di assicurare le riforme e la crescita che l’Italia attende da ormai troppo tempo. Un impegno condiviso e convergente da tutto il gruppo dirigente. L’evocazione di uno scontro irriducibile sulla natura vera del Pd non va in questa direzione e non dà forza all’impegno per il cambiamento. Francamente non me l’aspettavo.